Rugby e disabilità: storia di una squadra che integra davvero
Di solito ci si vede tre volte a settimana. Alcuni arrivano tranquilli e sicuri, qualcun altro più lentamente, accompagnato da un genitore che man mano si allontana e lo lascia andare con il gruppo mentre continua a seguirlo con lo sguardo. Prima tappa fissa lo spogliatoio, luogo di chiacchiere e di saluti, di abbracci e di battute, un cambio veloce e poi tutti in campo.
Ogni volta che andiamo a vederli allenare è come veder ripetere una piccola magia, li nelle ore serali del tardo pomeriggio, in un campo da rugby davvero grande, metà di erba vera e metà sintetica, con quelle porte alte, bianche, tipo altare laico, solitari totem di uno sport leggendario. Il rugby è cosi, cuore e fatica, fango e sorrisi, tra un passaggio e una corsa per portare la mitica palla ovale oltre la linea e un abbraccio e una stretta di mano a fine partita, che poi non sai più chi ha vinto e chi ha perso.
Questo però non è il solito rugby, se mai c’è stato qualcosa di scontato in questo sport, non è la solita partita per i punti in classifica ne per la qualificazione di turno. Questi sono gli ImplaccAbili e nessuno li può fermare.
Oggi sono molti, più di una ventina di ragazzi con disabilità diverse, dalla sindrome di Down allo spettro autistico, da quella sensoriale a quella intellettiva o psichica, a cui si aggiunge anche qualche ragazzo con un percorso di vita difficile, che magari ha bisogno solo di un punto fermo per ricostruire la propria identità negli occhi degli altri. E’ una squadra compatta, composita e variegata, tenace e passionale, che anno dopo anno vede crescere ragazzi disabili integranti, sempre più autonomi e sicuri.
Ma come si è arrivati fino a qui? All’inizio era solo un’idea, meglio un’intuizione che in fondo è una verità alla portata di tutti. Che lo sport è la chiave per aprire le porte più difficili, quelle più resistenti, fatte di brutti stereotipi, delle frasi tipo “non è il caso”, “non abbiamo un tutor che lo possa seguire”, “forse non è questa la soluzione al vostro problema”. Una chiave universale che salta di colpo una siepe scomposta e intricata di stoltezze e di visioni miopi della vita, in cui chi è disabile è in una condizione definitiva, mentre gli altri no, sono nel mondo, possono riuscire o sbagliare, avere difficoltà e perdere la strada, ma anche ritrovarsi e realizzarsi. Oggi è finito il tempo del “noi e loro”, oggi ci sono solo le persone, disabili o no, fragili o no, sempre persone. Persone che fanno sport, giocano a rugby integrato, atleti che sono energia pura, ragazzi testardi e determinati, sempre con il sorriso.
La storia del Rugby Integrato a via Flaminia 867 nasce anni fa, con il progetto “Una meta per crescere“ della Associazione Capitolina ODV, un viaggio iniziato prima assieme alla AIPD (Associazione Italiana Persone Down), e dal 2021 in totale indipendenza, per permettere ai bambini con sindrome di Down, con disturbo ADHD (Disturbo dell’attenzione) e dello Spettro Autistico Lieve di vivere un’esperienza d’integrazione che li aiuti a raggiungere un buon livello di autonomia coadiuvato dal sostegno di una figura professionale, l’educatore che affianca il bambino fino a quando sarà necessario e non oltre, durante gli allenamenti, le partite e le trasferte. Con il passare del tempo questi bambini sono diventati adulti, e devono necessariamente uscire dalle categorie ufficiali per tempi e modalità più agonistiche. Siamo tra i 16 e i 30 anni circa, alcuni decidono di lasciare, ma molti di loro hanno continuato a volersi allenare con determinazione, perché al campo è come stare in una grande famiglia. Così nel 2018 nascono gli ImplaccAbili e l’idea del Rugby Integrato per adulti/ Mixed ability rugby aderente alla FIR, un progetto che vuole andare oltre anche alla formula dello sport paraolimpico, dove gli atleti sono divisi per cluster di disabilità. Qui nessuna divisione. All’interno del gruppo c’è un numero variabile di facilitatori, esperti di dinamiche pedagogiche e sociali che, senza mai inserirsi a gamba tesa, governano questo percorso lasciando massima capacità espressiva ad ogni atleta, pur con le sue peculiarità. Due sono le linee guida principali: nessun preconcetto riguardo le capacità dei singoli e in campo si applicano le stesse regole di gioco. Due le parole d’ordine: Rugby e Fair play.
Conoscere e veder giocare gli ImplaccAbili è entrare in un mondo nuovo, qui tutto è davvero ribaltato, perché puoi toccare con mano che uno sport così integrato e inclusivo favorisce davvero l’abbattimento delle barriere di qualsiasi genere e propone un modello alternativo agli stereotipi più comuni. Certo la strada non è sempre facile, bisogna aggiustare il tiro ogni tanto, non è semplice gestire tante disabilità tutte insieme, ci vuole lavoro, confronto continuo, dialogo e alla fine qualche pacca sulla spalla. Ma il risultato vale la fatica. Non potrai stupirti allora di vedere un atleta con sindrome di Down che recupera un compagno con disabilità psichica in un momento di difficoltà e lo riporta in campo, di un altro che si congratula e abbraccia gli atleti della squadra avversaria perché hanno fatto meta loro. Di terzi tempi memorabili dove tutti sono fratelli di tutti. E se gli chiedi perché vengono a giocare, ti guardano come dire “ma che domanda è? Sto bene, gioco mi diverto e sto con gli amici, a volte vinciamo altre no, viaggio e conosco persone nuove”. Sorpresa, anche le persone disabili si divertono.
Ogni rivoluzione, quella vera, parte da una visione, un modo di vedere le cose diverse da come le vedono tutti o da come è più facile vederle. Queste rivoluzioni sono possibili, non dobbiamo dimenticarlo. Si, i disabili sono lenti, a volte non belli, alcuni difficili da gestire, altri possono chiederti dieci volte la stessa cosa, alcuni parlano bene altri meno, c’è chi gesticola per spiegarsi meglio o chi decide di chiudersi alcuni minuti, e si perde un attimo perché la fatica stanca anche la mente. E allora? Recentemente un spot intelligente porta avanti uno slogan semplice “assume that i can, so maybe i will”, “Supponi che io possa farlo, così forse io lo farò davvero”. Ecco la forza degli ImplaccAbili, pensare di poter giocare tutti insieme con diverse disabilità, per cambiare la prospettiva e battere gli stereotipi, i luoghi comuni, come quando fai la foto di un posto che hanno visto in cento mille persone, o del solito panorama che vedi da anni ma a te sembra sempre diverso. E sempre bellissimo. Cambiamola finalmente la prospettiva e le foto non solo potranno essere migliori, ma uniche e originali. Io ho fatto così, ho smesso da tanto tempo di vedere solo persone disabili intorno a me, molto vicino a me, ma solo persone. E voi?
Cristina Chiarotti © Foto Review Magazine
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